Scelgo la compagnia dei lupi
Analisi e amore per il film In Compagnia dei Lupi - di Neil Jordan e Angela Carter, 1984
Qualche sera fa ho finalmente recuperato il bellissimo In compagnia dei lupi (The company of Wolves) del 1984, di Neil Jordan, alla cui sceneggiatura ha lavorato insieme ad Angela Carter: il film è tratto da un suo racconto, dall’omonimo titolo, che si trova nella sua splendida raccolta dedicata alla figura del lupo – mannaro o selvaggio che sia - La camera di sangue.
Avevo visto molte scene di questo film, per approfondire la fiaba di Cappuccetto Rosso, di cui ho curato adattamento e regia ispirata alla versione illustrata da Chiara Carrer, La bambina e il lupo: anche noi abbiamo scelto di seguire la narrazione più antica, quella nella quale la bambina si salva da sola.
Il primo rimando alla capacità di salvarsi da sole lo incontriamo in una delle scene iniziali del film: Rosaleen, la bambina, parla con la Nonna, che la ammonisce poiché sua sorella maggiore, Alice, si è perduta nel bosco e qui è stata uccisa:
“Your only sister, all alone in the wood, and nobody there to save her. Poor little lamb.”
“Why couldn’t she save herself?”
Perché non si è salvata da sola? chiede Rosaleen. Sin dalle sue prime battute capiamo che questa bambina è una bambina ribelle, una di quelle che non seguirà il sentiero che qualcuno ha tracciato per lei – quello che ci si aspetta facciano le brave bambine. Ma facciamo un passo indietro.
Il film è, effettivamente, la rappresentazione di un sogno: diversamente dall’andamento di un film come Inland Empire, di David Lynch, nel quale la struttura onirica è manifesta ma non svelata, qui vediamo chiaramente che quello a cui assistiamo è un sogno di una ragazza adolescente, che dorme e sogna una serie di racconti, concatenati come scatole cinesi. Rosaleen, la giovane ragazza, sta dormendo nella sua stanza, protetta dai pupazzi e da statuine-amuleto che ritroveremo nel suo stesso sogno in forma vivente: rane, un cane di porcellana, bambole, serpenti, lepri bianche: animali profondamente simbolici, legati a tradizioni pagane e alla Ruota dell’Anno. Alice, la sorella maggiore, cerca di svegliarla, bussa alla porta ma Rosaleen è irraggiungibile, sprofondata nel sonno, nel mondo onirico, in quello spazio di soglia che ognuno ha abitato nella sua adolescenza – io mi chiudevo in camera e ascoltavo Prayers for rain dei Cure ad un volume così alto da far tremare i vetri, mentre gli adulti mi chiamavano, invano.
La prima scena del film mi ha ricordato un film recente, che ho molto amato: parlo di Anatomia di una caduta, diretto da Justine Triet; anche qui seguiamo la corsa di un cane – in questo caso, un pastore tedesco – che dal bosco corre fino ad arrivare alla porta chiusa della stanza di Rosaleen; qualcosa del bosco la chiama, l’animale domestico, il cane, che nei suoi sogni si trasformerà in lupo. Anche nel film di Triet seguiamo nella prima scena il cane di famiglia – un cane-lupo anche questo, dagli occhi azzurri come il cielo - con storia ed esito totalmente diversi. Eppure: in entrambi i film il cane vede qualcosa che è invisibile agli umani, ed in un certo senso è guida e punto di vista altro.
Da questo momento, entriamo nel sogno di Rosaleen: qui lei vive in un villaggio nel bosco, probabilmente nel ‘600, e dopo il lutto per la perdita della sorella maggiore assistiamo alla trasformazione della bambina in giovane donna. Le figure archetipiche relative alla fiaba di Cappccetto Rosso ci sono tutte: la Nonna, che rappresenta ciò che è antico, la saggezza dell’esperienza ma anche la tradizione; il Lupo, ovvero la tentazione ed il selvaggio; il bosco, la Madre, il sentiero da cui non si deve deviare. Eppure, nel film di Jordan si assiste a quella sovversione che ritroviamo anche nel racconto della Carter: Rosaleen/Cappuccetto Rosso non è una vittima sacrificale, né una bambina ingenua. Sta crescendo, e lo fa radicandosi nel suo potere personale, nella sua femminilità che diventa magica e potente.
[..] ma la saggia bambina non batté ciglio persino quando il lupo le rispose: Per mangiarti meglio.
La fanciulla scoppiò in una fragorosa risata; nessuno mai avrebbe fatto di lei un boccone.
(Angela Carter, In compagnia dei lupi)
La Nonna di Rosaleen lavora a maglia un mantello rosso, a protezione della bambina, dalla lana soffice, ma rossa come il sangue, come fa notare lei stessa. Angela Lansbury è la perfetta nonnina di Jordan: si dice che lui non abbia fatto nessun provino, ma che abbia assegnato direttamente la parte alla Signora in Giallo – e chi, meglio di lei, può essere rassicurante ed inquietante allo stesso tempo?
La Nonna mette in guardia la bambina dal bosco, da tutto ciò che è selvaggio, sconosciuto, misterioso: mai fidarsi dei lupi, sia quelli che hanno il pelo fuori che quelli che hanno il pelo dentro (hairy inside, molto meglio inglese); qui si riferisce al lato malefico, oscuro, degli uomini, che possono nascondere la loro natura violenta dentro, proprio come il pelo. Lupi mannari, uomini-lupo, a questi c’è da prestare attenzione e anzi, se ne incontriamo uno nel bosco, bisogna correre via più veloce possibile. Rosaleen afferma che nessun uomo la piccherà mai, dopo che la Nonna le racconta la storia più spaventosa di tutte quelle che verranno raccontate.
Dopo aver ottenuto in dono il mantello rosso da parte della Nonna, Rosaleen è pronta ad esplorare il bosco – senza allontanarti dal sentiero, mai! le ricorda la Nonna; non solo, anche lei inizia a raccontare le sue storie. Forse perché ha imparato dalla Nonna, o per indole – che la nonna sia una strega, e che naturalmente lo sia anche Rosaleen? - inizierà anche lei a raccontare, ovvero ad incantare con le parole. Le fiabe di Rosaleen però sono molto diverse da quella della Nonna: qui i lupi non sono solo famelici, o violenti, ma diventano alleati della vendetta di una bellissima – e reietta -strega incinta; oppure, nell’ultima fiaba che racconterà Rosaleen, collegamento con il mondo sotterraneo, espressione animale di una bambina-fata che proviene dal sottosuolo e che prende la forma di lupa.
La prima esplorazione del bosco nella quale Rosaleen decide di lasciare il sentiero la compie insieme ad un giovane del villaggio, che la invita ad uscire: lei sembra più interessata ad abbandonare il sentiero, più che ad instaurare una relazione romantica con lui. Rosaleen così si perde, esplora il bosco e sale su un albero altissimo, in cima al quale troverà un nido molto singolare: dentro ci sono delle piccole uova azzurre, che si schiudono rivelando al loro interno dei piccoli bambini di ceramica bianca, un rossetto ed uno specchio. Lungi da me voler interpretare ogni simbolo – mi piace che restino misteriosi – tuttavia, la scena mi rimanda alle mestruazioni, ovvero al menarca. Rosaleen entra appieno nella sua età fertile, scopre la promessa che la società si aspetta da lei: essere bella, essere seducente, fare figli.
Eppure, questa promessa si rivela essere legata alla tradizione, che può essere infranta proprio come farà il lupo, il famoso uomo hairy inside che compare solo nella seconda parte del film, e che decapiterà la Nonnina rompendo la sua testa contro il muro: testa che si rivelerà essere di ceramica bianca, proprio come la bambola che veglia il sonno di Rosaleen dormiente. Trovo molto bella questa scelta estetica: anche nella fiaba la Nonna dovrà morire, per lasciare spazio alla bambina che diventa donna. La Nonna rivela il colore bianco, connesso alla purezza e alla tradizione; Rosaleen incarna il rosso, ll colore del sangue, della rabbia e della vita; il Lupo è il colore nero, di tutto ciò che è oscuro, misterioso e seducente. I tre colori, gli stessi scelti da Chiara Carrer nell’opera sopra citata, sono i colori della Triplice Dea nella tradizione pagana: Bianco, la giovane: Rosso, la donna adulta; Nero, la Crona.
Se la Nonna di Rosaleen è la tradizione, la Madre è invece una donna più contemporanea: sarà lei a spiegare alla bambina:
You pay too much attention to your granny. She knows a lot but she doesn't know everything. And if there's a beast in men, it meets its match in women too.
Ed è così che la bambina incontrerà l’uomo lupo proprio mentre sta portando alla Nonna un cestino ricco di prelibatezze: questo si presenta sotto forma di cacciatore, con il quale farà una scommessa: lei seguirà il sentiero del bosco, mentre lui lo attraverserà fuori dal sentiero – poiché lui non appartiene al sentiero, lo affermerà chiaramente – e se arriverà prima, la bambina dovrà baciarlo. L’uomo si presenta come gentile e seducente, con una vibrazione violenta nascosta ma tangibile: Rosaleen non ne ha paura, porta un coltello nel suo cestino e, forse, sa che quell’uomo che non proviene dal sentiero, e che sul sentiero non prosegue – e non abita – è più simile a lei di quanto si possa credere. Come in ogni fiaba, il margine e l’appartenza a questo luogo è centrale – sovvertendo l’ordine della vita quotidiana, eteronormata verrebbe da dire – ma di questo parlerò prossimamente.
Sappiamo come va a finire: arriverà prima il Lupo, che mangerà la Nonna: una volta che Rosaleen giungerà alla casa nel bosco, troverà solo il cacciatore-lupo ad aspettarla, e realizzerà in breve tempo che la Nonna è stata uccisa. Lei non ha paura: inizia un gioco di seduzione con l’uomo, nel quale è impossibile capire se lei è sedotta, o lo è lui; nel momento in cui quest’ultimo le chiede di pagare il suo pegno con un bacio, e Rosaleen pronuncia la frase che bocca grande che hai! , alla quale non può seguire che per mangiarti meglio!, lei prende il fucile e gli spara, ferendolo. L’uomo si trasforma in lupo (con una trasformazione sicuramente datata ma ancora spettacolare), rivelando la sua natura selvaggia, dalla quale è, nonostante tutto, dominato, e resta tale. Rosaleen, diventata cacciatrice, si accorge di aver ferito il lupo, e che l’animale sta piangendo.
La metamorfosi dell’uomo in lupo avviene dolorosamente: la testa del lupo fuoriesce dalla bocca dell’uomo, come se fosse impossibile trattenere all’interno ciò che è selvaggio, e quindi svelare ciò che è nascosto, oscuro, malefico ma anche reale, finalmente onesto. Il cacciatore lupesco finora si è presentato come un seduttore, un manipolatore – sempre più demoniaco – vestito di trine e merletti, volutamente anacronistico; a mio avviso, quando rivela la sua natura di lupo si mette a nudo, non tanto nella sua forza quanto nella sua fragilità.
I'm sorry. I never knew a wolf could cry.
Non sapevo che un lupo potesse piangere, dirà Rosaleen. La vulnerabilità umana che si manifesta incarnandosi in un animale, e quindi diventando reale, non artefatto, fa compiere a Rosaleen la scelta: lei sceglierà, di sua sponte, di far parte del mondo selvaggio. Si trasformerà in lupa; la Madre, che la troverà insieme al villaggio mobilitato per la sua ricerca, la aiuterà a fuggire. Lo spirito selvaggio viene liberato da una donna, per tutte le donne che verranno dopo di lei.
Little girls, this seems to say / Never stop upon your way / Never trust a stranger friend / No-one knows how it will end / As you're pretty, so be wise / Wolves may lurk in every guise / Now as then, 'tis simple truth / Sweetest tongue has sharpest tooth.
Chi è il lupo, infine? Voglio credere che Rosaleen si svegli da suo sogno e che corra con i lupi che irrompono nella sua stanza, distruggendo ciò che era prima, restituendo valore alla rabbia, alla contestazione, a ciò che ci definisce e che spesso si trova fuori dal sentiero che altri hanno tracciato per noi.
Bibliografia e sitografia
Il giorno degli zombi ne parla qui
Casoli, Sara. "Cappuccetto Rosso ha divorato il lupo: In compagnia dei lupi di Jordan." FATA MORGANA 29 (2016): 277-281.
Zucker, Carole. "Sweetest Tongue Has Sharpest Tooth: The Dangers of Dreaming in Neil Jordan's" The Company of Wolves"." Literature/Film Quarterly 28.1 (2000): 66-71.
Hopper, Keith. "Hairy on the Inside: Re-Visiting Neil Jordan's" The Company of Wolves"." The Canadian Journal of Irish Studies (2003): 17-26.
Tutte le foto dell’articolo sono tratte dal film The company of Wolves, regia di Neil Jordan, sceneggiatura di Neil Jordan e Angela Carter, 1984
Grazie per questa "recensione" critico/filosofica/psichica.
Recupererò il film